Un mese e una manciata di ore dopo il sì a Brexit si moltiplicano, a Londra, acrobatici scenari per evitare la frattura totale anglo-europea , senza annichilire il significato del voto referendario.
La questione resta sempre la stessa, ovvero come mediare fra l’esigenza del Regno Unito di partecipare al mercato interno e la pretesa dello stesso Regno Unito di limitare la libera circolazione dei lavoratori, uno dei quattro pilastri del single market.
Il compromesso potrebbe passare per il pertugio di una nuova rimodulazione dell’emergency brake, quel freno da tirare per chiudere le frontiere in casi eccezionali.
È una riedizione, rafforzata, del compromesso già sollecitato da David Cameron nei mesi scorsi, quello che - secondo l’Observer - sarebbe oggi sul tavolo dei negoziatori europei. Lo scenario immaginato prevede l’adesione britannica allo spazio economico europeo, in compagnia di Norvegia, Islanda e Liechtenstein con la possibilità di utilizzare per un periodo di almeno sette anni una campanella d’emergenza capace di chiudere l’accesso ai lavoratori intracomunitari. Uno scenario che prenderebbe corpo solo in caso di provate urgenze e che è già contemplato dalle norme che regolano i rapporti fra aderenti allo Spazio economico europeo e l’Ue. Si parla di “misure di salvaguardia” in caso di “gravi difficoltà” non solo economiche. Un caso al quale si appellò l’Islanda nei giorni della crisi finanziaria post Lehman.
Non solo. Il Liechtenstein ha ottenuto un sistema di quote per limitare l’arrivo di cittadini Ue nel Gran Ducato. Il neo premier britannico, Theresa May , chiederà davvero di assimilare il Regno Unito al Liechtenstein ? È a dir poco improbabile e non solo perché il quadro dei due Paesi è oggettivamente diverso, ma anche perché non c’è nessuna reale minaccia alla “britishness”, principale ragione alla base della concessione garantita – temporaneamente – al Liechtenstein che temeva di cadere vittima di una sorta di dominazione culturale di marca Ue. Tuttavia è un’eccezione che stabilisce un precedente e potrebbe essere evocata da Londra. È già accaduto, a dare retta, almeno, alla voce di un anonimo rappresentante britannico citato dall’Observer, secondo il quale «è un’idea già sul tavolo». La Francia la guarda con inevitabile sospetto , mentre ( secondo quanto riportato dall’Observer) a parere di Nathalie Tocci, vice direttore dello Iai di Roma e special advisor di Federica Mogherini, il governo italiano sosterrebbe uno sviluppo del genere.
Se davvero sarà questa la piega della trattativa – è solo un'ipotesi – Londra avrà un bel daffare a convincere i propri elettori che lo scenario del dopo Brexit consiste in un contributo economico analogo, se non addirittura più salato del passato, da versare a Bruxelles per aderire a un patto che impone di seguire le regole del mercato interno senza contribuire a formarle. Un fallimento quasi totale rispetto ai proclami dei brexiters. I giochi sono lontanissimi dall'essere fatti e l’atteggiamento di Londra dipenderà molto da quanto avrà la sensazione di poter raccogliere nel resto del mondo. La visita del neo cancelliere Philip Hammond in Cina è stata un test interessante. Il nuovo responsabile del Tesoro s’è detto favorevole ad accordi di libero scambio con Pechino capaci di aprire nuove vie di accesso al business cinese nel sistema bancario britannico.