28/10/2014
di Silvia Pieraccini
I marchi Dop e Igp per i prodotti alimentari di qualità vanno ripensati. L’Italia vanta il record (ormai sono 264) di riconoscimenti Ue per il food di qualità ma oltre l'80% del loro giro d’affari è realizzato dalle prime 10 etichette e le altre restano confinate spesso nel proprio territorio d'origine. Ha senso tutto questo? Non ha usato giri di parole il presidente di Assica (l'associazione degli industriali delle carni), Lisa Ferrarini – nel corso di un incontro che si è tenuto alla Luiss di Roma (e dedicato al “Made in Italy agroalimentare: tutela delle denominazioni tipiche”), per muovere le proprie critiche al sistema Ue delle denominazioni d'origine. Uno strumento che nonostante i buoni risultati in termini di tutela messi a segno soprattutto in Europa fatica però ad essere riconosciuto al di fuori dei confini comunitari e, soprattutto, sotto il peso della crisi economica, stenta a inanellare risultati positivi in termini di valore aggiunto.
Prodotti per i quali i costi sono superiori al valore aggiunto creato
Secondo i calcoli effettuati da Assica, escluse le prime dieci denominazioni (tra cui Grana padano, Parmigiano reggiano, Prosciutto di Parma, Prosciutto di San Daniele e Gorgonzola) gli altri realizzano un giro d'affari minimo che in media non va oltre i 4,6 milioni di euro per singola denominazione. «La sensazione – ha aggiunto la Ferrarini – è che questi prodotti senza il sostegno pubblico non riescano a vivere. E considerato che sono assoggettati al complesso sistema di controlli pubblici senza contare gli investimenti per la tutela, la vigilanza e le verifiche del rispetto dei disciplinari di produzione comportano spesso costi maggiori del valore aggiunto che riescono a creare. È arrivato il momento di aprire una riflessione, fissando magari una soglia di fatturato sotto la quale non sia consentito scendere».
Sotto accusa gli scarsi effetti degli investimenti effettuati
Ma le principali critiche hanno riguardato gli scarsi effetti degli investimenti realizzati nel tempo. Sul piano della remuneratività è stato portato il caso del Prosciutto di Parma che «ad oggi – ha proseguito Ferrarini – e nonostante i processi di concentrazione e razionalizzazione avvenuti fra le imprese, mostra lo stesso prezzo all'ingrosso del 1994. Ma al di là dei dati economici preoccupano anche quelli sul piano della notorietà. Oggi i marchi Dop e Igp nonostante gli investimenti promozionali effettuati fin dalla loro istituzione (agli inizi degli anni ‘90) sono noti al 33% dei consumatori italiani, ma solo al 14% di quelli europei».
Ma la loro ratio è anche nella tutela speciale
Tuttavia le risposte ai quesiti sollevati dal presidente di Assica non sono tardate ad arrivare. Innanzitutto è stato posto un freno alle considerazioni esclusivamente economiche. «Come sancito dal regolamento 1151/2012 – ha detto il capodipartimento del ministero per le Politiche agricole, Stefano Vaccari – i prodotti Dop e Igp sono patrimonio culturale dell'Unione europea. Questo implica che anche gli altri partner come la Germania o la Francia sono impegnati nella tutela dei marchi italiani. Un principio, quello della tutela ex officio, che è alla base di molti sequestri scattati in maniera automatica in altri paesi Ue a tutela di prodotti italiani». Come avvenuto proprio nei giorni scorsi al Sial (il salone dell'agroalimentare) di Parigi dove sono state sequestrate forme di Asiago e di Grana padano prodotte in Lettonia».
Una protezione ora scattata anche sulle vendite on line
Le azioni di tutela messe in campo dal ministero per le Politiche agricole negli ultimi mesi sono andate oltre la mera vigilanza del mercato e hanno riguardato anche l'importante segmento delle vendite on line con gli accordi stipulati con Google e con e–bay (il famoso sito delle aste on line) e che allo stesso modo hanno consentito di effettuare importanti sequestri di falsi prodotti alimentari Dop e Igp. «Anche le loro regole produttive racchiuse nei disciplinari di produzione – ha aggiunto Vaccari – non sono dettate dal mercato ma dalla storia di questi prodotti che hanno dimostrato di saper coniugare tradizione e business».
Un passo avanti va compiuto
Pur nel rispetto delle loro prerogative è innegabile però che qualche passo avanti sul piano della tutela internazionale va compiuto. «È impensabile – ha aggiunto il segretario dell'Aicig (l'associazione dei consorzi dei prodotti a indicazione geografica), Pier Maria Saccani – che ad esempio nei negoziati sugli accordi bilaterali come quello in corso con gli Usa, sia possibile chiedere una uguale protezione per tutte le oltre mille Dop e Igp europee. Occorre invece ragionare su una protezione internazionale differenziata che premi quei brand che realmente sono presenti all'estero. È inutile chiedere una tutela particolare per piccole produzioni che magari neanche superano i confini della regione d'origine».